Diario di un viaggio a metà
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Non puoi capire quale è il tuo limite fino a quando
non lo raggiungi, o credi di raggiungerlo. Dopo aver viaggiato per quasi quindi ore nel deserto vedendo ridurre il numero delle vetture fino a non vederne più per gli ultimi quattrocento km, molti dei quali passati in una tempesta di sabbia bianchissima che rendeva tutto irriconoscibile, coprendo di uno strato bianco ogni cosa, da cespugli spinosi all'asfalto, rendendo persino difficile distinguere i piccoli e non pericolosi depositi di sabbia sulla strada dalle molto più pericolose lingue, alte anche mezzo metro, mi sono reso conto di essere arrivato allo stremo delle forze psicofisiche, addormentato sul letto di una piccola pensione in questo angolo di mondo dimenticato dall'uomo, senza nemmeno essermi riuscito a togliere gli stivali. Vengo svegliato qualche ora dopo dall'uomo della reception, emozionato bussa alla mia porta "mesieur!!! mesieur, ci sono altri motociclisti con la moto come la sua...presto, venga!!" Insonnolito e ancora piuttosto intontito metto la testa fuori dalla porta e di fronte mi trovo una coppia dall'aspetto familiare, è una coppia di cinquantenni belgi, da Gent, lui alto con i baffoni alla "Von Krapfen" e lei tipica donna dai lineamenti nord europei, tutti e due arrossati e cotti dal sole e dal vento, che sta ritornando a casa dopo essere stata a Dakar, in Senegal, sarebbe una di quelle occasioni da non farsi scappare, ma non sono dell'umore questa sera di socializzare, non riesco nemmeno a comprendere bene cio' che mi dicono in un elementare francese, molto comprensibile, e dopo un rapido scambio di battute torno a letto, un sonno profondo come raramente mi capita mi accompagna fino a mattino. E' proprio vero il detto che dice che prima di prendere decisioni importanti conviene dormirci su. Mi sveglio con la voglia di provarci, di provare ad arrivare a Nouakchott. Mi unisco alla coppia conosciuta la sera prima, ora in grado di sostenere una comunicazione decente (ieri sera ero veramente cotto, a pensarci ora) e consumo insieme a loro una triste colazione a base di pane vecchio e caffè solubile, chiacchierando del piu' e del meno, dei vari accrocchi inventati da entrambe per riuscire a caricare bagagli, attrezzi e taniche di carburante aggiuntive sulle due moto, la mia GS e la sua KTM 950 adv e delle strade in Mauritania. La strada tra Nouadibou, prima città dopo il confine con il Marocco verso sud e unico punto di riferimento per carburante e vitto fino a Nouakchott, mi dicono essere molto bella e scorrevole tranne quattro deviazioni di diversi chilometri ognuna piuttosto complicate da seguire e "avec tres sable", mi viene in mente Barbasma, un riferimento per me tra gli appassionati di fuoristrada con pesanti bicilindrici come la mia moto, penso che i consigli di quelli come lui mi saranno utili quando dovrò affrontare queste difficoltà... Dopo aver fatto quattro chiacchiere con i belgi sono convinto. Se in
Mauritania ci vanno queste scassarole di macchine che mi stanno intorno,
ci vado pure io! E paro verso Bir guenduz, posto di frontiera, ultimo
baluardo marocchino. C'è una fascia di terra di nessuno tra i due posti di frontiera, una sorta di cuscinetto fortemente minato a dividere le due nazioni nel quale accade veramente di tutto, e nulla di quello che accade penso rientri nella legalità. Qui avvengono gli scambi di autovetture; obsolete Mercedes per lo più, vengono comprate per due soldi sul mercato europeo da personaggi che poi si fanno tutto il viaggio fin qui via terra, vendono la macchina senza alcun tipo di tassazione, qui nessuno stato è sovrano, e ritornano ai paesi d'origine con passaggi e bus per ricominciare dall'inizio questo giro. Ho conosciuto anche un gruppo di profughi del Bangladesh giunti fino a Dakar con visto turistico e poi presi in consegna dal loro accompagnatore, il quale dopo averli accompagnati qui in mezzo al nulla ha trattenuto loro i passaporti. La Mauritania non vuole sapere della loro esistenza, il Marocco non li fa entrare senza passaporto, in questa particolare zona non esistono telefoni, né cellulari ne fissi, possono solo elemosinare cibo e spiccioli per raggiungere la cifra loro chiesta dal contrabbandiere, senza potersi mai allontanare dalla sede della pista per l'incombente pericolo delle mine, nemmeno per fare i bisogni. A tutto questo non sarei portato a credere e manifestato il mio scetticismo alcuni di questi ragazzi mi porta a vedere dove vivono, come vivono e poi si tolgono la maglietta, mostrando un fisico magrissimo e probabilmente malato, che tanto mi ha ricordato i documentari visti sui campi di concentramento della seconda guerra mondiale. Sono costretto dai fatti a credere a questa assurda storia di sfruttamento; insieme a me un professore francese ha assistito e promette che non appena ritornato al suo paese avrebbe contattato l'ambasciata, fornendo loro la lista dei nomi di questi trenta ragazzi. Sbrigando le macchinose formalità io e Miguel ci perdiamo di vista,
rinuncio quindi alla sua compagnia nel viaggio e parto verso Nouadibou
per cercare un distributore dove fare rifornimento, l'ultimo per gli oltre
500 chilometri che collegano il nord del paese alla capitale e anche se
non troppo facilmente riesco a fare il pieno alla moto, trenta litri a
forza di bottiglie da un litro e mezzo aspirate da un fusto perché
la pompa era rotta e dato che la benzina qui sono in pochi a comprarla
non era conveniente ripararla. |
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